mercoledì 30 luglio 2014

Intermezzo - La farfalla ovvero Psiche -



Il nome dell'anima


   Anche la farfalla (nome comune dei Lepidoptera, uno dei più grandi ordini di insetti a metamorfosi completa) ha ispirato il simbolo dell'anima, tanto che in greco una stessa parola, psiché, le indicava entrambe.
   Non è una farfalla l'anima in Platone ma, come si è accennato, è dotata di ali. Il filosofo descrive nel Fedro
http://www.filosofico.net/fedro.html la crescita delle ali sull'anima quando ella contempla la bellezza, ma senza specificare a quale essere volante appartengano: "Infatti, ricevendo attraverso gli occhi l'effluvio della bellezza, si scalda nel punto in cui la natura dell'ala si alimenta. E una volta riscaldatasi, si sciolgono le parti che stanno attorno ai germi, le quali, essendo da tempo chiuse per inaridimento, non lasciavano germogliare le ali. Grazie al fluire del nutrimento lo stato dell'ala si gonfia e comincia a crescere dalla radice, per tutta la forma dell'anima. Infatti, una volta l'anima era tutta alata", ossia quando ancora non era caduta nel mondo del divenire.
     A far crescere le ali è colui che gli uomini chiamano Eros, come cantano alcuni versi che gli omeridi, una setta originaria di Chio, avrebbero tratto da pomi segreti, secondo quanto riferisce o immgina Platone:

Eros alato lo chiamano i mortali,
ma gli immortali Pteros perchè fa
crescere le ali.

     Probabilmente nel filosofo greco riecheggiava una tradizione che doveva essere antichissima se già nelle tombe regali di Micene si sono trovati grandi dischi d'oro dove sono incise farfalle, a simboleggiare l'immortalità dell'anima del defunto. Simbolismo che ritroviamo in altri continenti, come testimoniano per esempio i glifi non soltanto messicani ma anche andini ( a Parcas e Nazca per esempio). Non vi erano nel testo platonico, è vero, riferimenti alla farfalla, ma in tutta la tradizione figurativa platonica e neoplatonica la protagonista del suo mito avrà l'aspetto di questo alato insetto.

Simbolismo del bruco e della crisalide

      Quando sopraggiunge l'autunno, il bruco cerca un riparo dove si sistema per trascorrere l'inverno. Contratto il corpo e ripiegato le zampette, secerne un lungo filo in cui si avvolge per poi trasudare su di esso un liquido, formando un riparo impermeabile, quasi un sarcofago. In esso a poco a poco si compie la sua straordinaria metamorfosi in crisalide, che ha evocato fra gli Egizi e i Greci il simbolo del defunto:" Per tutti loro il corpo umano non era che l'involucro" scrive Charbonneau-Lassay, "la guaina dell'anima; e questa evadeva dalla porta della morte come la crisalide che diventa farfalla soltanto al primo spiegamento delle sue ali nel libero spazio, dopo avere rotto l'estremità del suo bozzolo ed esserne uscita fuori".
      A loro volta i Baluba e i Lulula del Kasai spiegano che l'uomo segue dalla vita alla morteil ciclo della farfalla: è una piccola larva nell'infanzia , quella che noi chiamiamo popolarmente bruco; una grande larva nella maturità; diventa crisalide nella vecchiaia; la sua tomba è il bozzolo dal quale esce la sua anima nelle sembianze di una farfalla.

       La metamorfosi del bruco in crisalide e infine in farfalla ispirò fin dal V secolo il simbolo del Cristo, prima umiliato nella morte e nel sepolcro e poi resuscitato, come testimonia papa Gelasio I (492-496) che in un decreto scrisse a proposito del Salvatore:" Vermis quia resurrexit", verme perchè risorse. Per questo motivo non soltanto la crisalide ma anche il bruco divenne simbolo della resurrezione, come i grandi bruchi di bronzo incrostati di pasta di vetro che si sono trovati in Irlanda. Charbonneau-Lassay ha riprodotto nel suo libro anche un anello d'oro merovingio, del VI-VII secolo, il cui castone è ornato dal pesce simbolico e il cui cerchio ha su entrambi i lati del castone un bruco in rilievo:
" Il Pesce-Cristo, l'Ictus , e il doppio emblema della sua resurrezione e della nostra" commenta.
      Quanto alla crisalide, ha evocato nella mistica cristiana anche l'anima del monaco che nel ritiro della sua cella e del chiostro lavora alla propria metamorfosi spirituale.

La favola di amore e psiche


      L'anima come farfalla che evade dal suo bozzolo carnale ispirò anche molte opere d'arte nell'antichità. La Psiche, custodita nel Museo Capitolino - copia di una scultura greca del IV secolo a.C. - ha le sembianze di una figura muliebre con ali di farfalla (nella foto: Statua di Amore e Psiche presso il Museo Capitolino, da un originale greco del II sec. a.C.). Nella basilica pitagorica di Porta Maggiore a Roma si vedono sugli stucchi, oggi purtroppo sbriciolati dal tempo e soprattutto dall'incuria, farfalle inseguite da soavi amorini a simboleggiare la beatitudine delle anime spiritualmente liberate. Quando nella seconda metà del II secolo d.C. Apuleio scrisse la favola di Amore e Psiche, ponendola emblematicamente al centro del suo romanzo Le metamorfosi, il mito dell'anima 


alata che si unisce a Eros era diffuso in tutta la cultura ellenistica. Ispirandosi a quel simbolismo, lo scrittore narrava la storia della giovinetta Psiche sedotta da Amore: allegoria dell'anima che riceve, ancora impreparata, la luce divina come bellezza provando un'indicibile felicità.
      C'erano una volta, narrava, un re e una regina che avevano tre belle figliole; ma la minore era di una bellezza così straordinaria che la sua fama si era sparsa nelle terre vicine, dalle quali giungeva molta gente per ammirarla. Il culto di Venere era ormai abbandonato mentre a Psiche si attribuivano onori divini. Indispettita, la dea chiese al figlio Amore di vendicare il suo onore inducendo la fanciulla a innamorarsi dell'essere più vile che vivesse sulla terra.
     Nel frattempo i genitori, vedendo che la figlia, nonostante la bellezza, non era stata chiesta in sposa a nessun uomo a differenza delle altre, cominciarono a sospettare un odio celeste. Si recarono allora a consultare l'oracolo di Mileto il quale ordinò che Psiche venisse abbandonata su un'alta rupe:"Non sperare" disse enigmaticamente al re "in un genero nato da stirpe umana; ma in un disgraziato feroce, bestiale, viperino, che vola con le sue ali nell'etere a tormentare tutti, a fiaccarli con il fuoco e con il ferro; Giove stesso ne trema, gli dei sono terrorizzati, i fiumi e le tenebre dello Stige si ritraggono davanti a lui".
     Mentre Psiche, abbandonata da tutti, stava spaurita e in lacrime sulla cima della roccia, venne sollevata dal docile soffio di zefiro che, spirando lievemente, la sospinse a poco a poco lungo il pendio fino a posarla su un prato fiorito nella valle sottostante. Dopo avere serenamente dormito, la fanciulla si svegliò accorgendosi di trovarsi ai confini di un bosco: incuriosita, vi si inoltrò scoprendo una casa regale, degna di un dio per eleganza e ricchezze. Mentre stava osservando quei tesori udì una voce incorporea che, dopo averle detto che le appartenevano, la invitò a prendere un bagno e poi a pranzare. Giunta la sera, Psiche si ritirò per dormire. Ma nel cuore della notte, un misterioso sposo salì sul letto giacendo con lei; e prima del sorgere del sole sparì segretamente com'era venuto.  
La scena si ripetè per molte notti colmando Psiche di piacere e di gioia, ma col passare dei giorni quella vita in solitudine la immalinconiva, anche perchè non poteva rivedere e consolare i parenti che la piangevano come morta: finchè un giorno riuscì a strappare allo sposo la promessa di farle incontrare le due sorelle. Amore, poichè era proprio lui a salire su quel letto disubbidendo all'ordine della madre, le raccomandò di non lasciarsi convincere dalle sorelle a investigare sul suo aspetto, che doveva rimanere ignoto così come la sua identità, pena la fine di quei dolci incontri. "Vorrei piuttosto morire cento volte prima di privarmi della tua dolcissima unione" rispose la fanciulla, che nel frattempo aveva saputo dell'amante di essere incinta.
     Le sorelle furono trasportate dall'obbediente Zefiro fino al palazzo incantato dove Psiche le accolse regalmente. Alle due donne che cercavano di sapere chi mai fosse il padrone di tutti quei beni Psiche descrisse il misterioso sposo come un giovane cacciatore di bell'aspestto al quale da poco una barba fluente ombreggiava le guance. Poi, riempitele di doni, le fece riaccompagnare da Zefiro sulla via del ritorno.
      Le due sorelle, rose dall'invidia, tornarono altre volte a trovarla finchè intuirono dalle contraddizioni in cui lei cadeva descrivendo ogni volta l'amato in modo diverso, che era sposa di un dio. Rabbiose, le insinuarono il sospetto di essersi unita ad un mostro serpentino che avrebbe finito per divorarla e le consigliarono di procurarsi un rasoio: "Quando sarà ormai disteso e comincerà a essere immerso nel sonno e col respiro pesantemente assopito, tu scivola giù dal letto scalza e in punta di piedi, smorzando il passo per non fare rumore, scopri dalla cieca oscurità che l'avvolge la lucerna e, come t'indicherà il chiarore, cogli l'occasione per un atto egregio: leva prima in alto la destra con quell'arma a doppio taglio e coraggiosamente, più forte che puoi, taglia il capo al malefico serpente staccandoglielo dal collo".
Quando psiche ebbe accesa la lucerna vide al suo fianco non un mostro, ma un dio meraviglioso: Amore. Mentre lo contemplava tremando di passione, una goccia d'olia sfuggita dalla lucerna svegliò il marito che, amaramente sorpreso, si dileguò nell'aria. Intanto un gabbiano aveva informato Venere di quel che stava succedendo. La dea, irritata di avere come rivale proprio la nuora e di dover divantare prima o poi nonna, rimproverò severamente il figlio e lo rinchiuse in una stanza perchè non commettesse altri guai; poi chiese a Cerere di trovare la fanciulla che nel frattempo, disperata, vagava per le campagna alla ricerca dello sposo, e di condurla alla sua presenza.
Quando la vide tremante davanti a sé le assegnò prove difficili che Psiche riuscì tuttavia a superare grazie all'aiuto di tutti gli esseri del creato: l'ultima, recarsi agli inferi da Proserpina chiedendole di riempire un vasetto di prezioso unguento, era una condanna a morte perchè da quel luogo un mortale non poteva tornare, Ma ancora una volta Psiche fu aiutata da un'altissima torre da cui ella avrebbe voluto gettarsi disperata e grazie alla quale potè infine penetrare negli inferi e riemergere indenne. Tuttavia, giunta alla luce, non seppe resistere alla tentazione di aprire il vasetto per impadronirsi dell'unguento portentoso che serviva a ravvivare la bellezza del corpo e del volto: fu castigata di nuovo perchè il vasetto conteneva in realtà un sonno infernale che l'assalì avvolgendole tutte le membra in una nube soporifera.
    Proprio allora Amore riuscì a fuggire da una finestra della stanza dove era rinchiuso: volato dall'amata, le tolse con cura il sonno riponendolo di nuovo nella pisside. "Ecco, stavi di nuovo per rovinarti, poverina" le disse "cedendo ancora una volta alla tua curiosità. E ora" soggiunse "và a consegnare il vasetto a mia madre mente io mi occuperò del resto". Poi volò da Giove chiedendogli di acconsentire al matrimonio: il re degli dei non soltanto diede il suo assenso, ma volle offrire una coppa di ambrosia a Psiche perchè diventasse immortale. Da Amore e Psiche nacque una figlia chiamata Voluttà.
  La favola è l'allegoria dell'anima che stenta a liberarsi della "forza di gravità", sicchè è costretta a percorrere un lungo cammino di purificazione affrontando difficili prove, dove tuttavia è provvidenzialmente assistita perchè è "amata" dalla divinità e desiderata dal vero Bene; e nonostante una nuova "caduta", riuscirà a congiungersi con l'Amato.
Questa favola, che non ritroviamo in altri testi antichi, risale probabilmente a un'opera greca perduta, come testimonia in modo indiretto la scultura romana del III secolo a.C., Amore e Psiche, copia di un originale greco, conservata nel Museo Capitolino: dove lei non ha ancora le ali di farfalla. Nel Museo nazionale delle Terme di Roma, in un frammento di avorio del letto di Ajelli, i due "amanti" appaiono invece come teneri bambini alati, l'uno con ali di colomba, l'uccello sacro alla madre Venere, e l'altra con ali di farfalla; e nelle catacombe dei santi Marcellino e Pietro, Amore nudo e Psiche castamente vestita si scambiano, entrambi alati, ardenti carezze; mentre, in un cubicolo dell'ipogeo dei Flavii, nelle catacombe di Domitilla, Amore con ali di colomba e Psiche con ali di farfalla colgono edenicamente fiori di campo.
    I cristiani scorsero nella favola di Apuleio l'allegoria profetica del Cristo, l'Amore eterno che insegue le anime per abbracciarle nella sua comunione e salvarle. La trasformazione allegorica di questa favola in chiave cristiana è confermata da Fulgenzio, che, nel V secolo, lo pone a confronto con il racconto biblico del peccato originale, spiegando che Psiche viene inizialmente punita per la sua peccaminosa curiosità e per la disubbidienza agli ordini divini; e infine perdonata e reintegrata nella comunione divina, quella che Giovanni della Croce cantava con versi che s'addicono all'allegoria di Apuleio:


Oh, notte che unisti
l'amato all'Amata,
l'amata nell'Amato trasformata!
Sul mio petto fiorito
che intatto per lui solo si serbava,
lì si addormentò,
e io lo carezzavo,
e la chioma dei cedri ventilava. L'aria della torre
quando io i suoi capelli scioglievo,
con la sua mano serena
il mio collo feriva
e tutti i miei sensi sospendeva.


Lì rimasi e mi dimenticai,
il viso reclinai sull'Amato;
cessò tutto, e mi abbandonai,
lasciando il mio ritegno
tra i gigli dimenticato.


Alfredo Cattabiani - Florario






Recensione del libro di Erich Neumann: Amore e Psiche. Un'interpretazione della psicologia del profondo

La famosa favola di Apuleio è l`oggetto e il modello del saggio di Neumann sulla psicologia del femminile. Per Neumann il doloroso cammino attraverso il quale Psiche passa dalla condizione di `amante notturna` avvolta dall`oscurità a quella di partner femminile del dio Eros diventa cosciente di se stessa, è strettamente legato a uno sviluppo epocale del femminile e dell`umanità in generale.
Psiche incarna di fronte ad Afrodite, dalla quale viene perseguitata, un nuovo tipo di amante: "Con Psiche nasce un nuovo principio d`amore in cui l`incontro tra il maschile e il femminile diventa il fodnamento dell`individuazione. Con l`azione di Pische fanno la comparsa nel mondo dolore, colpa e solitudine, le sofferenze legate all`individuazione".
L`amore individuale di Psiche entra in conflitto con il principio collettivo del piacere e dell`ebbrezza rappresentato da Afrodite, la quale tenta invano di impedire il passaggio a una nuova fase del femminile legate a Psiche.
Psiche, che alla fine della favola muore per amore di Eros e da Eros viene salvata, assume nella propria trasformazione anche quella dell`uomo; così attraverso questa doppia trasformazione si ritrovano finalmente insieme. Psiche viene accolta nell`Olimpo come sposa di Eros.
Dal punto di vista del femminile questo significa per Neumann che la facoltà dell`anima d`amare è divina e che il processo trasformativo dell`amore è un mistero che divinizza.



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