Il nome dell'anima
Anche la farfalla (nome
comune dei Lepidoptera, uno dei più grandi ordini di insetti a
metamorfosi completa) ha ispirato il simbolo dell'anima, tanto che in greco una
stessa parola, psiché, le indicava entrambe.
Non è una farfalla l'anima
in Platone ma, come si è accennato, è dotata di ali. Il filosofo descrive nel Fedro
http://www.filosofico.net/fedro.html
la crescita delle ali sull'anima quando ella contempla la bellezza, ma senza
specificare a quale essere volante appartengano: "Infatti, ricevendo attraverso
gli occhi l'effluvio della bellezza, si scalda nel punto in cui la natura
dell'ala si alimenta. E una volta riscaldatasi, si sciolgono le parti che
stanno attorno ai germi, le quali, essendo da tempo chiuse per inaridimento,
non lasciavano germogliare le ali. Grazie al fluire del nutrimento lo stato
dell'ala si gonfia e comincia a crescere dalla radice, per tutta la forma
dell'anima. Infatti, una volta l'anima era tutta alata", ossia quando
ancora non era caduta nel mondo del divenire.
A far crescere
le ali è colui che gli uomini chiamano Eros, come cantano alcuni versi che gli
omeridi, una setta originaria di Chio, avrebbero tratto da pomi segreti,
secondo quanto riferisce o immgina Platone:
Eros alato lo chiamano i mortali,
ma gli immortali Pteros perchè fa
crescere le ali.
Probabilmente
nel filosofo greco riecheggiava una tradizione che doveva essere antichissima
se già nelle tombe regali di Micene si sono trovati grandi dischi d'oro dove
sono incise farfalle, a simboleggiare l'immortalità dell'anima del defunto.
Simbolismo che ritroviamo in altri continenti, come testimoniano per esempio i
glifi non soltanto messicani ma anche andini ( a Parcas e Nazca per esempio).
Non vi erano nel testo platonico, è vero, riferimenti alla farfalla, ma in
tutta la tradizione figurativa platonica e neoplatonica la protagonista del suo
mito avrà l'aspetto di questo alato insetto.
Simbolismo del bruco e
della crisalide
Quando
sopraggiunge l'autunno, il bruco cerca un riparo dove si sistema per trascorrere
l'inverno. Contratto il corpo e ripiegato le zampette, secerne un lungo filo in
cui si avvolge per poi trasudare su di esso un liquido, formando un riparo
impermeabile, quasi un sarcofago. In esso a poco a poco si compie la sua
straordinaria metamorfosi in crisalide, che ha evocato fra gli Egizi e i Greci
il simbolo del defunto:" Per tutti loro il corpo umano non era che
l'involucro" scrive Charbonneau-Lassay, "la guaina dell'anima; e
questa evadeva dalla porta della morte come la crisalide che diventa farfalla
soltanto al primo spiegamento delle sue ali nel libero spazio, dopo avere rotto
l'estremità del suo bozzolo ed esserne uscita fuori".
A loro
volta i Baluba e i Lulula del Kasai spiegano che l'uomo segue dalla vita alla
morteil ciclo della farfalla: è una piccola larva nell'infanzia , quella che
noi chiamiamo popolarmente bruco; una grande larva nella maturità; diventa
crisalide nella vecchiaia; la sua tomba è il bozzolo dal quale esce la sua
anima nelle sembianze di una farfalla.
La
metamorfosi del bruco in crisalide e infine in farfalla ispirò fin dal V secolo
il simbolo del Cristo, prima umiliato nella morte e nel sepolcro e poi
resuscitato, come testimonia papa Gelasio I (492-496) che in un decreto scrisse
a proposito del Salvatore:" Vermis quia resurrexit", verme perchè
risorse. Per questo motivo non soltanto la crisalide ma anche il bruco divenne
simbolo della resurrezione, come i grandi bruchi di bronzo incrostati di pasta
di vetro che si sono trovati in Irlanda. Charbonneau-Lassay ha riprodotto nel
suo libro anche un anello d'oro merovingio, del VI-VII secolo, il cui castone è
ornato dal pesce simbolico e il cui cerchio ha su entrambi i lati del castone
un bruco in rilievo:
" Il Pesce-Cristo, l'Ictus , e il doppio
emblema della sua resurrezione e della nostra" commenta.
Quanto
alla crisalide, ha evocato nella mistica cristiana anche l'anima del monaco che
nel ritiro della sua cella e del chiostro lavora alla propria metamorfosi
spirituale.
La favola di amore e psiche
L'anima come farfalla che evade dal suo
bozzolo carnale ispirò anche molte opere d'arte nell'antichità. La Psiche,
custodita nel Museo Capitolino - copia di una scultura greca del IV secolo a.C.
- ha le sembianze di una figura muliebre con ali di farfalla (nella foto:
Statua di Amore e Psiche presso il Museo Capitolino, da un originale
greco del II sec. a.C.). Nella basilica pitagorica di Porta Maggiore a Roma si
vedono sugli stucchi, oggi purtroppo sbriciolati dal tempo e soprattutto
dall'incuria, farfalle inseguite da soavi amorini a simboleggiare la
beatitudine delle anime spiritualmente liberate. Quando nella seconda metà del
II secolo d.C. Apuleio scrisse la favola di Amore e Psiche, ponendola
emblematicamente al centro del suo romanzo Le metamorfosi, il mito
dell'anima
alata che si unisce a
Eros era diffuso in tutta la cultura ellenistica. Ispirandosi a quel
simbolismo, lo scrittore narrava la storia della giovinetta Psiche sedotta da
Amore: allegoria dell'anima che riceve, ancora impreparata, la luce divina come
bellezza provando un'indicibile felicità.
C'erano una volta, narrava, un re e una regina che avevano tre belle figliole;
ma la minore era di una bellezza così straordinaria che la sua fama si era
sparsa nelle terre vicine, dalle quali giungeva molta gente per ammirarla. Il
culto di Venere era ormai abbandonato mentre a Psiche si attribuivano onori
divini. Indispettita, la dea chiese al figlio Amore di vendicare il suo onore inducendo
la fanciulla a innamorarsi dell'essere più vile che vivesse sulla terra.
Nel frattempo i genitori, vedendo che la figlia, nonostante la bellezza, non
era stata chiesta in sposa a nessun uomo a differenza delle altre, cominciarono
a sospettare un odio celeste. Si recarono allora a consultare l'oracolo di
Mileto il quale ordinò che Psiche venisse abbandonata su un'alta rupe:"Non
sperare" disse enigmaticamente al re "in un genero nato da stirpe
umana; ma in un disgraziato feroce, bestiale, viperino, che vola con le sue ali
nell'etere a tormentare tutti, a fiaccarli con il fuoco e con il ferro; Giove
stesso ne trema, gli dei sono terrorizzati, i fiumi e le tenebre dello Stige si
ritraggono davanti a lui".
Mentre Psiche, abbandonata da tutti, stava spaurita e in lacrime sulla cima
della roccia, venne sollevata dal docile soffio di zefiro che, spirando
lievemente, la sospinse a poco a poco lungo il pendio fino a posarla su un
prato fiorito nella valle sottostante. Dopo avere serenamente dormito, la
fanciulla si svegliò accorgendosi di trovarsi ai confini di un bosco:
incuriosita, vi si inoltrò scoprendo una casa regale, degna di un dio per
eleganza e ricchezze. Mentre stava osservando quei tesori udì una voce
incorporea che, dopo averle detto che le appartenevano, la invitò a prendere un
bagno e poi a pranzare. Giunta la sera, Psiche si ritirò per dormire. Ma nel
cuore della notte, un misterioso sposo salì sul letto giacendo con lei; e prima
del sorgere del sole sparì segretamente com'era venuto.
La scena si ripetè per
molte notti colmando Psiche di piacere e di gioia, ma col passare dei giorni
quella vita in solitudine la immalinconiva, anche perchè non poteva rivedere e
consolare i parenti che la piangevano come morta: finchè un giorno riuscì a strappare
allo sposo la promessa di farle incontrare le due sorelle. Amore, poichè era
proprio lui a salire su quel letto disubbidendo all'ordine della madre, le
raccomandò di non lasciarsi convincere dalle sorelle a investigare sul suo
aspetto, che doveva rimanere ignoto così come la sua identità, pena la fine di
quei dolci incontri. "Vorrei piuttosto morire cento volte prima di
privarmi della tua dolcissima unione" rispose la fanciulla, che nel
frattempo aveva saputo dell'amante di essere incinta.
Le sorelle furono trasportate dall'obbediente Zefiro fino al palazzo incantato
dove Psiche le accolse regalmente. Alle due donne che cercavano di sapere chi
mai fosse il padrone di tutti quei beni Psiche descrisse il misterioso sposo
come un giovane cacciatore di bell'aspestto al quale da poco una barba fluente
ombreggiava le guance. Poi, riempitele di doni, le fece riaccompagnare da
Zefiro sulla via del ritorno.
Le due sorelle, rose dall'invidia, tornarono altre volte a trovarla finchè
intuirono dalle contraddizioni in cui lei cadeva descrivendo ogni volta l'amato
in modo diverso, che era sposa di un dio. Rabbiose, le insinuarono il sospetto
di essersi unita ad un mostro serpentino che avrebbe finito per divorarla e le
consigliarono di procurarsi un rasoio: "Quando sarà ormai disteso e
comincerà a essere immerso nel sonno e col respiro pesantemente assopito, tu
scivola giù dal letto scalza e in punta di piedi, smorzando il passo per non
fare rumore, scopri dalla cieca oscurità che l'avvolge la lucerna e, come
t'indicherà il chiarore, cogli l'occasione per un atto egregio: leva prima in
alto la destra con quell'arma a doppio taglio e coraggiosamente, più forte che
puoi, taglia il capo al malefico serpente staccandoglielo dal collo".
Quando psiche ebbe
accesa la lucerna vide al suo fianco non un mostro, ma un dio meraviglioso:
Amore. Mentre lo contemplava tremando di passione, una goccia d'olia sfuggita
dalla lucerna svegliò il marito che, amaramente sorpreso, si dileguò nell'aria.
Intanto un gabbiano aveva informato Venere di quel che stava succedendo. La
dea, irritata di avere come rivale proprio la nuora e di dover divantare prima
o poi nonna, rimproverò severamente il figlio e lo rinchiuse in una stanza
perchè non commettesse altri guai; poi chiese a Cerere di trovare la fanciulla
che nel frattempo, disperata, vagava per le campagna alla ricerca dello sposo,
e di condurla alla sua presenza.
Quando la vide
tremante davanti a sé le assegnò prove difficili che Psiche riuscì tuttavia a
superare grazie all'aiuto di tutti gli esseri del creato: l'ultima, recarsi
agli inferi da Proserpina chiedendole di riempire un vasetto di prezioso
unguento, era una condanna a morte perchè da quel luogo un mortale non poteva
tornare, Ma ancora una volta Psiche fu aiutata da un'altissima torre da cui
ella avrebbe voluto gettarsi disperata e grazie alla quale potè infine
penetrare negli inferi e riemergere indenne. Tuttavia, giunta alla luce, non
seppe resistere alla tentazione di aprire il vasetto per impadronirsi
dell'unguento portentoso che serviva a ravvivare la bellezza del corpo e del
volto: fu castigata di nuovo perchè il vasetto conteneva in realtà un sonno
infernale che l'assalì avvolgendole tutte le membra in una nube soporifera.
Proprio
allora Amore riuscì a fuggire da una finestra della stanza dove era rinchiuso:
volato dall'amata, le tolse con cura il sonno riponendolo di nuovo nella
pisside. "Ecco, stavi di nuovo per rovinarti, poverina" le disse
"cedendo ancora una volta alla tua curiosità. E ora" soggiunse
"và a consegnare il vasetto a mia madre mente io mi occuperò del
resto". Poi volò da Giove chiedendogli di acconsentire al matrimonio: il
re degli dei non soltanto diede il suo assenso, ma volle offrire una coppa di
ambrosia a Psiche perchè diventasse immortale. Da Amore e Psiche nacque una
figlia chiamata Voluttà.
La favola è
l'allegoria dell'anima che stenta a liberarsi della "forza di
gravità", sicchè è costretta a percorrere un lungo cammino di
purificazione affrontando difficili prove, dove tuttavia è provvidenzialmente
assistita perchè è "amata" dalla divinità e desiderata dal vero Bene;
e nonostante una nuova "caduta", riuscirà a congiungersi con l'Amato.
Questa favola, che non
ritroviamo in altri testi antichi, risale probabilmente a un'opera greca
perduta, come testimonia in modo indiretto la scultura romana del III secolo
a.C., Amore e Psiche, copia di un originale greco, conservata nel Museo
Capitolino: dove lei non ha ancora le ali di farfalla. Nel Museo nazionale
delle Terme di Roma, in un frammento di avorio del letto di Ajelli, i due
"amanti" appaiono invece come teneri bambini alati, l'uno con ali di
colomba, l'uccello sacro alla madre Venere, e l'altra con ali di farfalla; e
nelle catacombe dei santi Marcellino e Pietro, Amore nudo e Psiche castamente
vestita si scambiano, entrambi alati, ardenti carezze; mentre, in un cubicolo
dell'ipogeo dei Flavii, nelle catacombe di Domitilla, Amore con ali di colomba
e Psiche con ali di farfalla colgono edenicamente fiori di campo.
I
cristiani scorsero nella favola di Apuleio l'allegoria profetica del Cristo,
l'Amore eterno che insegue le anime per abbracciarle nella sua comunione e
salvarle. La trasformazione allegorica di questa favola in chiave cristiana è
confermata da Fulgenzio, che, nel V secolo, lo pone a confronto con il racconto
biblico del peccato originale, spiegando che Psiche viene inizialmente punita
per la sua peccaminosa curiosità e per la disubbidienza agli ordini divini; e
infine perdonata e reintegrata nella comunione divina, quella che Giovanni
della Croce cantava con versi che s'addicono all'allegoria di Apuleio:
Oh, notte che unisti
l'amato all'Amata,
l'amata nell'Amato
trasformata!
Sul mio petto fiorito
che intatto per lui
solo si serbava,
lì si addormentò,
e io lo carezzavo,
e la chioma dei cedri
ventilava. L'aria della torre
quando io i suoi
capelli scioglievo,
con la sua mano serena
il mio collo feriva
e tutti i miei sensi
sospendeva.
Lì rimasi e mi
dimenticai,
il viso reclinai
sull'Amato;
cessò tutto, e mi
abbandonai,
lasciando il mio
ritegno
tra i gigli
dimenticato.
Recensione del libro
di Erich Neumann: Amore e Psiche. Un'interpretazione della psicologia del profondo
La famosa favola di Apuleio è l`oggetto e
il modello del saggio di Neumann sulla psicologia del femminile. Per Neumann il
doloroso cammino attraverso il quale Psiche passa dalla condizione di `amante
notturna` avvolta dall`oscurità a quella di partner femminile del dio Eros
diventa cosciente di se stessa, è strettamente legato a uno sviluppo epocale
del femminile e dell`umanità in generale.
Psiche incarna di fronte ad Afrodite,
dalla quale viene perseguitata, un nuovo tipo di amante: "Con Psiche nasce un nuovo principio d`amore in cui
l`incontro tra il maschile e il femminile diventa il fodnamento
dell`individuazione. Con l`azione di Pische fanno la comparsa nel mondo dolore,
colpa e solitudine, le sofferenze legate all`individuazione".
L`amore individuale di Psiche entra in
conflitto con il principio collettivo del piacere e dell`ebbrezza rappresentato
da Afrodite, la quale tenta invano di impedire il passaggio a una nuova fase
del femminile legate a Psiche.
Psiche, che alla fine della favola muore
per amore di Eros e da Eros viene salvata, assume nella propria trasformazione
anche quella dell`uomo; così attraverso questa doppia trasformazione si
ritrovano finalmente insieme. Psiche viene accolta nell`Olimpo come sposa di
Eros.
Dal punto di vista del femminile questo
significa per Neumann che la facoltà dell`anima d`amare è divina e che il
processo trasformativo dell`amore è un mistero che divinizza.