"Progredire significa acquisire nuovi schemi di pensiero" non l'ho detto io, ma il Biologo statunitense Edward Osborne Wilson, inventore della sociobiologia: http://it.wikipedia.org/wiki/Edward_Osborne_Wilson
Una delle “pesantezze” degli insegnanti di oggi, giustificate
ma fino ad un certo punto, che bisogna subire tutti i giorni a lavoro con un gioco sfiancante di
proiezioni e di rimandi sul collega
vicino, e di cui io non sono immune, è che i giovani, i bambini di oggi sono
cambiati. Ora, quello che mi domando e dico è che forse, allora bisogna che si
cambi anche atteggiamento nei loro confronti, dobbiamo cercare anche noi nuove strade per
ritrovare un punto di contatto fondamentale tra insegnante e discente,
indispensabile per un insegnamento che si voglia chiamare tale, cosa che invece puntualmente, o nella maggior parte dei
casi non si fa. Ma fino a che punto un adulto può cambiare atteggiamento? E
fino a che punto un italiano può essere diverso dal suo DNA? E se leggendo “Il
principio di piacere” di Sigmund Freud e noi “italiani” ci ritrovassimo un po’ (se
non del tutto) o meglio, solo nel principio del piacere?
Se fosse così, non ci resta che aspettare la prossima
mutazione genetica.
“I ricercatori si sono concentrati in particolare sul
tempo di generazione: “La correlazione attesa tra tempo di generazione e tempo
di mutazione è assai semplice e intuitivo: quante più sono le generazioni di
una specie per unità di tempo, tante più è alta la probabilità che si verifichi
una mutazione a carico del DNA”, ha sottolineato la Makova, che firma un
articolo di resconto sulla rivista Evolution. “Nel caso dei topi, per esempio,
100 anni equivalgono a 200 generazioni, mentre nell'uomo solo a cinque”.”
Estratto da un articolo di Le Scienze: http://www.lescienze.it/news/2011/06/13/news/tassi_di_mutazione_genetica_come_cambiano_da_specie_a_specie-551715/
Quindi a conti fatti a noi non ci
resta che aspettare più o meno 400/500 anni, oppure tentare di farci delle domande
e procedere con delle riflessioni (che fosse il ruolo della scuola?). Ciò che non è possibile geneticamente, a noi
umani è possibile culturalmente!
Stefano Scivola
Piacere/dispiacere, principio di
Dizionario di Medicina (2010):
"piacere/dispiacere, principio di Principio che secondo
Sigmund Freud, insieme a quello di realtà, regola il funzionamento
dell’apparato psichico. Lo scopo di tutta l’attività psichica è conseguire il
piacere ed evitare il dispiacere ed essa viene automaticamente regolata dal
principio di piacere. Questa idea poggia sull’ipotesi che il funzionamento
dell’apparato psichico si accompagni alla circolazione di una certa quantità di
energia: un aumento di energia o tensione pulsionale (➔ pulsioni) è spiacevole, mentre è gradevole la sua
eliminazione. Dapprima Freud indicò quale principio regolatore il principio di
dispiacere, sottolineando che l’attività psichica è mossa dal dispiacere e non
da un piacere da perseguire. Nello scritto Precisazioni sui due principi
dell’accadere psichico (1911) utilizzò il binomio piacere/dispiacere,
indicandone l’abbreviazione in principio di piacere.
L’alternarsi dei due principi. Il principio di p./d. precede
da un punto di vista evolutivo l’instaurarsi del principio di realtà. In base a
esso l’essere umano tende all’esperienza di piacere più immediata attraverso la
soddisfazione di bisogni e desideri. Freud postula che il neonato, inizialmente
inconsapevole dell’esistenza del mondo esterno e totalmente dipendente da chi
si prende cura di lui, si trovi in uno stato di appagamento quando si provvede
completamente alle sue necessità. I suoi bisogni essenziali provocano aumenti
di tensione percepiti come sensazioni spiacevoli. Il principio di dispiacere
stimola la scarica motoria – il pianto e il dimenarsi – finché non si realizza
l’esperienza di soddisfacimento. Per es., il lattante sperimenta l’aumento di
tensione provocato dalla fame come una sensazione spiacevole e piange finché
non viene nutrito; la sazietà diminuisce la tensione e ciò viene vissuto come
piacere. Questa esperienza di soddisfacimento che sospende lo stimolo interno,
si accompagna a una percezione – l’alimento, in questo caso – la cui traccia
mnestica rimane associata alla traccia mnestica della tensione provocata dal
bisogno e della scarica motoria utilizzata. La primitiva attività psichica mira
alla ripetizione della percezione, a un’identità di percezione che è collegata
con il soddisfacimento del bisogno. Quando appare di nuovo la tensione, il
lattante produce dapprima qualcosa di analogo alla percezione, ossia
un’allucinazione (➔)
dell’oggetto, l’alimento. Tuttavia, l’appagamento allucinatorio non può che
essere seguito dalla disillusione e deve essere abbandonato. Gli stimoli
interni non possono essere così soddisfatti, la fame rimane e la tensione non
può essere allentata, dunque il dispiacere non può essere allontanato se non
con un intervento esterno. È la mancanza dell’atteso soddisfacimento che induce
il neonato a rappresentare a sé stesso la realtà esterna e a sforzarsi di
modificarla. L’eccitamento che nasce dal bisogno, insoddisfatto
dall’appagamento allucinatorio, conduce alla percezione reale dell’oggetto che
può apportare soddisfacimento. Il bambino impara a usare intenzionalmente i
suoi mezzi di scarica, pianto e motricità, per richiamare la madre. Nel far
questo agisce sulla base di un diverso principio: quello di realtà. La nostra
vita psichica è caratterizzata dall’alternarsi dei due principi regolatori. Il
principio di p./d. regna incontrastato nei processi inconsci; per essi – spiega
Freud – non vale l’esame di realtà che domina nella vita cosciente. L’attività
del fantasticare – che comincia già nel gioco dei bambini e successivamente
prosegue nei sogni a occhi aperti – e il sogno restano durante tutta la vita
sotto la giurisdizione del principio di piacere.
Il principio di realtà. Enunciato da Freud nel 1911 in
Precisazioni sui due principi dell’accadere psichico, il principio di realtà
forma, come detto, una coppia con il principio di p./d., del quale rappresenta
una modificazione e che va considerato da un punto di vista evolutivo. Esso
assicura il raggiungimento dei soddisfacimenti nella realtà. La crescita e la
maturità di ogni individuo si caratterizzano anche per l’acquisita capacità di
abbandonare un piacere momentaneo e incerto nelle sue conseguenze, per conseguire
in avvenire un piacere più sicuro. Nel passaggio dal principio di p./d. a
quello di realtà, l’apparato psichico subisce una serie di modificazioni e
adattamenti. Si sviluppano la funzione dell’attenzione – volta a esplorare
periodicamente la realtà esterna –, della memoria delle esperienze vissute e
del giudizio che consente di distinguere la realtà dalle fantasie e dai
desideri. Questa inevitabile tappa rappresentava per Freud un passo decisivo
nello sviluppo dell’Io. Nei processi psichici primari, dominati dal principio
di p./d., l’apparato psichico non distingueva tra una fantasia, un desiderio e
una percezione; ora l’Io diviene invece capace di compiere l’esame di realtà,
cioè di distinguere gli stimoli provenienti dal mondo esterno da quelli provenienti
dal mondo interno e di impedire la confusione tra ciò che il soggetto
percepisce e ciò che si rappresenta, confusione che darebbe luogo
all’allucinazione. La scarica motoria viene sostituita da un uso mirato della
motricità. Il passaggio dal principio di p./d. a quello di realtà non avviene
in una volta sola. Le pulsioni dell’Io, preposte alla conservazione
dell’individuo, sono orientate verso oggetti esterni, per es. il cibo, e
possono trovare soddisfazione solo con oggetti reali; perciò effettuano presto
il passaggio al principio di realtà. Le pulsioni sessuali, invece, possono
soddisfarsi anche in maniera fantasmatica e rimangono più a lungo sotto il
dominio del principio di piacere."
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