venerdì 4 luglio 2014

Progredire significa acquisire nuovi schemi di pensiero.


"Progredire significa acquisire nuovi schemi di pensiero" non l'ho detto io, ma il Biologo statunitense  Edward Osborne Wilson, inventore della sociobiologia: http://it.wikipedia.org/wiki/Edward_Osborne_Wilson

















   Una delle “pesantezze” degli insegnanti di oggi, giustificate ma fino ad un certo punto, che bisogna subire tutti i giorni  a lavoro con un gioco sfiancante di proiezioni  e di rimandi sul collega vicino, e di cui io non sono immune, è che i giovani, i bambini di oggi sono cambiati. Ora, quello che mi domando e dico è che forse, allora bisogna che si cambi anche atteggiamento nei loro confronti,  dobbiamo cercare anche noi nuove strade per ritrovare un punto di contatto fondamentale tra insegnante e discente, indispensabile per un insegnamento che si voglia chiamare tale, cosa che  invece puntualmente, o nella maggior parte dei casi non si fa. Ma fino a che punto un adulto può cambiare atteggiamento? E fino a che punto un italiano può essere diverso dal suo DNA? E se leggendo “Il principio di piacere”  di Sigmund Freud  e noi “italiani” ci ritrovassimo un po’ (se non del tutto) o meglio, solo nel principio del piacere?
Se fosse così, non ci resta che aspettare la prossima mutazione genetica.

“I ricercatori si sono concentrati in particolare sul tempo di generazione: “La correlazione attesa tra tempo di generazione e tempo di mutazione è assai semplice e intuitivo: quante più sono le generazioni di una specie per unità di tempo, tante più è alta la probabilità che si verifichi una mutazione a carico del DNA”, ha sottolineato la Makova, che firma un articolo di resconto sulla rivista Evolution. “Nel caso dei topi, per esempio, 100 anni equivalgono a 200 generazioni, mentre nell'uomo solo a cinque”.” Estratto da un articolo di Le Scienze: http://www.lescienze.it/news/2011/06/13/news/tassi_di_mutazione_genetica_come_cambiano_da_specie_a_specie-551715/ 

Quindi a conti fatti a noi non ci resta che aspettare più o meno 400/500 anni, oppure tentare di farci delle domande e procedere con delle riflessioni (che fosse il ruolo della scuola?). Ciò che non è possibile geneticamente, a noi umani è possibile culturalmente!

Stefano Scivola

Piacere/dispiacere, principio di
Dizionario di Medicina (2010):

"piacere/dispiacere, principio di Principio che secondo Sigmund Freud, insieme a quello di realtà, regola il funzionamento dell’apparato psichico. Lo scopo di tutta l’attività psichica è conseguire il piacere ed evitare il dispiacere ed essa viene automaticamente regolata dal principio di piacere. Questa idea poggia sull’ipotesi che il funzionamento dell’apparato psichico si accompagni alla circolazione di una certa quantità di energia: un aumento di energia o tensione pulsionale ( pulsioni) è spiacevole, mentre è gradevole la sua eliminazione. Dapprima Freud indicò quale principio regolatore il principio di dispiacere, sottolineando che l’attività psichica è mossa dal dispiacere e non da un piacere da perseguire. Nello scritto Precisazioni sui due principi dell’accadere psichico (1911) utilizzò il binomio piacere/dispiacere, indicandone l’abbreviazione in principio di piacere.
L’alternarsi dei due principi. Il principio di p./d. precede da un punto di vista evolutivo l’instaurarsi del principio di realtà. In base a esso l’essere umano tende all’esperienza di piacere più immediata attraverso la soddisfazione di bisogni e desideri. Freud postula che il neonato, inizialmente inconsapevole dell’esistenza del mondo esterno e totalmente dipendente da chi si prende cura di lui, si trovi in uno stato di appagamento quando si provvede completamente alle sue necessità. I suoi bisogni essenziali provocano aumenti di tensione percepiti come sensazioni spiacevoli. Il principio di dispiacere stimola la scarica motoria – il pianto e il dimenarsi – finché non si realizza l’esperienza di soddisfacimento. Per es., il lattante sperimenta l’aumento di tensione provocato dalla fame come una sensazione spiacevole e piange finché non viene nutrito; la sazietà diminuisce la tensione e ciò viene vissuto come piacere. Questa esperienza di soddisfacimento che sospende lo stimolo interno, si accompagna a una percezione – l’alimento, in questo caso – la cui traccia mnestica rimane associata alla traccia mnestica della tensione provocata dal bisogno e della scarica motoria utilizzata. La primitiva attività psichica mira alla ripetizione della percezione, a un’identità di percezione che è collegata con il soddisfacimento del bisogno. Quando appare di nuovo la tensione, il lattante produce dapprima qualcosa di analogo alla percezione, ossia un’allucinazione () dell’oggetto, l’alimento. Tuttavia, l’appagamento allucinatorio non può che essere seguito dalla disillusione e deve essere abbandonato. Gli stimoli interni non possono essere così soddisfatti, la fame rimane e la tensione non può essere allentata, dunque il dispiacere non può essere allontanato se non con un intervento esterno. È la mancanza dell’atteso soddisfacimento che induce il neonato a rappresentare a sé stesso la realtà esterna e a sforzarsi di modificarla. L’eccitamento che nasce dal bisogno, insoddisfatto dall’appagamento allucinatorio, conduce alla percezione reale dell’oggetto che può apportare soddisfacimento. Il bambino impara a usare intenzionalmente i suoi mezzi di scarica, pianto e motricità, per richiamare la madre. Nel far questo agisce sulla base di un diverso principio: quello di realtà. La nostra vita psichica è caratterizzata dall’alternarsi dei due principi regolatori. Il principio di p./d. regna incontrastato nei processi inconsci; per essi – spiega Freud – non vale l’esame di realtà che domina nella vita cosciente. L’attività del fantasticare – che comincia già nel gioco dei bambini e successivamente prosegue nei sogni a occhi aperti – e il sogno restano durante tutta la vita sotto la giurisdizione del principio di piacere.
Il principio di realtà. Enunciato da Freud nel 1911 in Precisazioni sui due principi dell’accadere psichico, il principio di realtà forma, come detto, una coppia con il principio di p./d., del quale rappresenta una modificazione e che va considerato da un punto di vista evolutivo. Esso assicura il raggiungimento dei soddisfacimenti nella realtà. La crescita e la maturità di ogni individuo si caratterizzano anche per l’acquisita capacità di abbandonare un piacere momentaneo e incerto nelle sue conseguenze, per conseguire in avvenire un piacere più sicuro. Nel passaggio dal principio di p./d. a quello di realtà, l’apparato psichico subisce una serie di modificazioni e adattamenti. Si sviluppano la funzione dell’attenzione – volta a esplorare periodicamente la realtà esterna –, della memoria delle esperienze vissute e del giudizio che consente di distinguere la realtà dalle fantasie e dai desideri. Questa inevitabile tappa rappresentava per Freud un passo decisivo nello sviluppo dell’Io. Nei processi psichici primari, dominati dal principio di p./d., l’apparato psichico non distingueva tra una fantasia, un desiderio e una percezione; ora l’Io diviene invece capace di compiere l’esame di realtà, cioè di distinguere gli stimoli provenienti dal mondo esterno da quelli provenienti dal mondo interno e di impedire la confusione tra ciò che il soggetto percepisce e ciò che si rappresenta, confusione che darebbe luogo all’allucinazione. La scarica motoria viene sostituita da un uso mirato della motricità. Il passaggio dal principio di p./d. a quello di realtà non avviene in una volta sola. Le pulsioni dell’Io, preposte alla conservazione dell’individuo, sono orientate verso oggetti esterni, per es. il cibo, e possono trovare soddisfazione solo con oggetti reali; perciò effettuano presto il passaggio al principio di realtà. Le pulsioni sessuali, invece, possono soddisfarsi anche in maniera fantasmatica e rimangono più a lungo sotto il dominio del principio di piacere."


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