domenica 27 luglio 2014

La Scuola e l’autoreferenzialità


  Una delle difficoltà maggiori che si incontra oggi nell’insegnamento è quello dell’autoreferenzialità a tutti i livelli, sia tra le persone adulte che tra i discenti. I bambini di oggi tendono in primis a mettere in mostra eccessivamente le proprie conoscenze piuttosto che a predisporsi all’apprendimento (è ovvio che l’apprendimento parte “anche” dalle preconoscenze) seguendo le “direttive” dell’insegnante.  Tutto ciò, secondo me (e non solo), è l’ennesima riprova della “proiezione”  sui bambini di una società scollata e in mutazione.

autoreferenziale
[au-to-re-fe-ren-zià-le]
agg. (pl. -li)

Che fa riferimento esclusivamente a se stesso, trascurando o perdendo ogni rapporto con la realtà esterna e la complessità dei problemi cha la caratterizzano






   Come scrisse il filosofo greco Aristotele (IV secolo A.C.) nella sua “Politica” l’uomo è un animale sociale in quanto tende ad aggregarsi con altri individui e a costituirsi in società. Ma la socialità è un istinto primario o è il risultato di altre esigenze.
Darwin affrontò la questione partendo dall’osservazione del branco di animali. Nella lotta per la vita ciascun animale sente il bisogno di stare vicino ai propri simili per poter ottenere aiuto e difesa. Da ciò nasce un sentimento in ciascun animale che Darwin definisce simpatia per gli altri animali della sua specie.


Secondo Freud, invece, l’origine dei sentimenti sociali è da ricercarsi nel sentimento di gelosia che ha per oggetto la madre e che oppone i fratelli fra di loro. Quando ciascuno si accorge di non poter prevalere su tutti gli altri si batte perché almeno ci sia uguaglianza di tutti e dominio di uno solo. Freud ritiene dunque che la giustizia sociale significhi rinunciare a parecchio affinchè anche gli altri vi rinuncino. Questa rivendicazione di uguaglianza forma la radice della coscienza sociale e del sentimento di dovere.

Altri studiosi considerano la socializzazione, non un istinto a se stante, bensì un mezzo per soddisfare altre esigenze. Non si nascerebbe dunque con il desiderio di socializzare ma si impara ad essere sociali: il bambino scopre molto presto i vantaggi di stare insieme agli altri e desidera associarsi ad altri per soddisfare bisogni essenzialmente egoistici, in quanto senza l’aiuto dei nostri simili saremmo in grado di fare ben poco, probabilmente nemmeno sopravvivere. In quest’ottica per appartenere ad un gruppo si deve essere pronti anche a sacrificarsi, a porre gli interessi di tutti al di sopra degli interessi dei singoli. Ovvio che se le persone si uniscono tra loro con l’intento di perseguire ciascuno esclusivamente i propri interessi non si può parlare di gruppo sociale e di sentimenti sociali. Appartiene a questa corrente di pensiero l’antropologo Trivers, il quale introduce il concetto di altruismo reciproco, sintetizzabile con l’adagio latino do ut des.



Per maggiori approfondimenti vedi anche:

INDIVIDUO E SOCIETA’
Spunti emersi nel dialogo con Massimo Cacciari
Incontro del 31 gennaio 2008

   Individuo e società è un binomio problematico ricco di paradossi e aporie. Per questo cercherò di riflettere sulla criticità di questo nesso, dato spesso per ovvio, per poi vedere “come e se” sviluppare l’aporia verso qualche direzione.
Il termine individuo, che per noi ha un significato immediato, non esisteva in greco o latino. Le nostre lingue madri sono prive della presenza di questo concetto.
L’individuo, ossia ciò che si distingue e non può essere confondibile né divisibile con altro, è qualcosa che si è storicamente creato e non ha equivalenti nella tradizione politico filosofica classica. Questo “atomo” sarebbe risultato socialmente incompatibile a un greco o a un romano e così pure a un cittadino della res pubblica cristiana medioevale.
L’individuo è andato configurandosi attraverso un processo storico in polemica con l’idea di homo hierarchicus e homo religiosus. In altre parole, l’individuo, inteso come persona portatrice di una soggettività, è il prodotto di una polemica, di un conflitto con le grandi forme con cui l’uomo si era rappresentato tradizionalmente, ossia come “membro” di un ordine gerarchico e spirituale che gli dava significato. Soltanto se collegato a un ordine di carattere sacrale o religioso, l’uomo aveva valore. Perciò l’uomo gerarchico e l’uomo religioso non possono, in alcun modo, condividere la nostra idea di individuo.
L’individuo è il prodotto di una separazione da questi ordini tradizionali, dominanti in epoca classica e medioevale, di un’astrazione dell’uomo dall’ordine gerarchico e dall’ordine religioso. E l’uomo a-stratto da questi ordini si configura come individuo.
È questa un’operazione di enorme peso da cui nasce la modernità e la contemporaneità: la vera rivoluzione copernicana. Dal centro “ordine gerarchico”, dal centro “ordine religioso”, si passa al nuovo centro “individuo”. Cambiando il centro del sistema, da cui tutto viene commisurato e comunicato, si vanno a modificare i rapporti.

seguita al link: 



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