Una
delle difficoltà maggiori che si incontra oggi nell’insegnamento è quello
dell’autoreferenzialità a tutti i livelli, sia tra le persone adulte che tra i
discenti. I bambini di oggi tendono in primis a mettere in mostra
eccessivamente le proprie conoscenze piuttosto che a predisporsi
all’apprendimento (è ovvio che l’apprendimento parte “anche” dalle
preconoscenze) seguendo le “direttive” dell’insegnante. Tutto ciò, secondo me (e non solo), è l’ennesima riprova
della “proiezione” sui bambini di una
società scollata e in mutazione.
autoreferenziale
[au-to-re-fe-ren-zià-le]
agg.
(pl. -li)
Che
fa riferimento esclusivamente a se stesso, trascurando o perdendo ogni rapporto
con la realtà esterna e la complessità dei problemi cha la caratterizzano
Da La
Repubblica.it Dizionari: http://dizionari.repubblica.it/Italiano/A/autoreferenziale.php
Come
scrisse il filosofo greco Aristotele (IV secolo A.C.) nella sua “Politica”
l’uomo è un animale sociale in quanto tende ad aggregarsi con altri individui e
a costituirsi in società. Ma la socialità è un istinto primario o è il
risultato di altre esigenze.
Darwin
affrontò la questione partendo dall’osservazione del branco di animali. Nella
lotta per la vita ciascun animale sente il bisogno di stare vicino ai propri
simili per poter ottenere aiuto e difesa. Da ciò nasce un sentimento in ciascun
animale che Darwin definisce simpatia per gli altri animali della sua specie.
Secondo
Freud, invece, l’origine dei sentimenti sociali è da ricercarsi nel sentimento
di gelosia che ha per oggetto la madre e che oppone i fratelli fra di loro.
Quando ciascuno si accorge di non poter prevalere su tutti gli altri si batte
perché almeno ci sia uguaglianza di tutti e dominio di uno solo. Freud ritiene
dunque che la giustizia sociale significhi rinunciare a parecchio affinchè
anche gli altri vi rinuncino. Questa rivendicazione di uguaglianza forma la
radice della coscienza sociale e del sentimento di dovere.
Altri
studiosi considerano la socializzazione, non un istinto a se stante, bensì un
mezzo per soddisfare altre esigenze. Non si nascerebbe dunque con il desiderio
di socializzare ma si impara ad essere sociali: il bambino scopre molto presto
i vantaggi di stare insieme agli altri e desidera associarsi ad altri per
soddisfare bisogni essenzialmente egoistici, in quanto senza l’aiuto dei nostri
simili saremmo in grado di fare ben poco, probabilmente nemmeno sopravvivere.
In quest’ottica per appartenere ad un gruppo si deve essere pronti anche a
sacrificarsi, a porre gli interessi di tutti al di sopra degli interessi dei
singoli. Ovvio che se le persone si uniscono tra loro con l’intento di
perseguire ciascuno esclusivamente i propri interessi non si può parlare di
gruppo sociale e di sentimenti sociali. Appartiene a questa corrente di
pensiero l’antropologo Trivers, il quale introduce il concetto di altruismo
reciproco, sintetizzabile con l’adagio latino do ut des.
Vai
al link: http://www.societapartecipativa.it/blog/?p=163
Per
maggiori approfondimenti vedi anche:
INDIVIDUO E SOCIETA’
Spunti emersi nel
dialogo con Massimo Cacciari
Incontro del 31
gennaio 2008
Individuo
e società è un binomio problematico ricco di paradossi e aporie. Per questo
cercherò di riflettere sulla criticità di questo nesso, dato spesso per
ovvio, per poi vedere “come e se” sviluppare l’aporia verso qualche direzione.
Il
termine individuo, che per noi ha un significato immediato, non esisteva in
greco o latino. Le nostre lingue madri sono prive della presenza di questo
concetto.
L’individuo,
ossia ciò che si distingue e non può essere confondibile né divisibile con
altro, è qualcosa che si è storicamente creato e non ha equivalenti nella
tradizione politico filosofica classica. Questo “atomo” sarebbe risultato
socialmente incompatibile a un greco o a un romano e così pure a un cittadino
della res pubblica cristiana medioevale.
L’individuo
è andato configurandosi attraverso un processo storico in polemica con l’idea
di homo hierarchicus e homo religiosus. In altre parole, l’individuo, inteso
come persona portatrice di una soggettività, è il prodotto di una polemica,
di un conflitto con le grandi forme con cui l’uomo si era rappresentato
tradizionalmente, ossia come “membro” di un ordine gerarchico e spirituale che
gli dava significato. Soltanto se collegato a un ordine di carattere sacrale o
religioso, l’uomo aveva valore. Perciò l’uomo gerarchico e l’uomo religioso
non possono, in alcun modo, condividere la nostra idea di individuo.
L’individuo
è il prodotto di una separazione da questi ordini tradizionali, dominanti in
epoca classica e medioevale, di un’astrazione dell’uomo dall’ordine gerarchico
e dall’ordine religioso. E l’uomo a-stratto da questi ordini si configura come
individuo.
È
questa un’operazione di enorme peso da cui nasce la modernità e la
contemporaneità: la vera rivoluzione copernicana. Dal centro “ordine
gerarchico”, dal centro “ordine religioso”, si passa al nuovo centro
“individuo”. Cambiando il centro del sistema, da cui tutto viene commisurato e
comunicato, si vanno a modificare i rapporti.
seguita
al link:
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