domenica 17 novembre 2013

Il Padre che non c'è e il Paese impaurito di EUGENIO SCALFARI

Ho trovato molto interessante questo articolo di Eugenio Scalfari pubblicato su "La Repubblica" il 24 marzo 2013. In qualche modo questo post può ricongiungersi con quello precedentemente da me pubblicato.
"Un Maestro alle elementari".




 Qualcuno s'incomincia ad accorgere che è venuta meno la figura del padre e che questa lacuna di paternità è una delle cause non marginali della perdita d'identità e della nevrosi diffusa che da molti anni affligge il nostro Paese e non soltanto. Se il padre ha dimissionato non ci saranno più neppure i figli, i fratelli, i cugini; mancano i punti di riferimento. La stessa salutare dialettica tra le generazioni viene meno e si trasforma in una lotta per il potere tra vecchi e giovani.

La gerarchia familiare aveva il compito di trasmettere l'identità, la memoria storica e il sapere orale. Ebbene, questo mondo è affondato ma poiché la natura non sopporta il vuoto, al posto del padre, della madre, dei fratelli, si è insediata la cultura del branco.

Si credeva che l'indebolimento dei vincoli parentali fosse una conquista della modernità, affrancata una volta per tutte dai legami del sangue e della tribalità; si pensava che l'individuo, liberato dai ruoli e dalle usanze ripetitive della gerarchizzazione, recuperasse la sua responsabilità, la sua libertà e la pienezza della propria realizzazione. Ma queste acquisizioni si sono verificate soltanto in piccola parte. Nella maggioranza dei casi l'individuo, abbandonato alla sua solitudine, non ha trovato altro rimedio che quello di confondersi nel branco, cioè in un soggetto anonimo e indifferenziato, sorretto soltanto da motivazioni emozionali quali l'individuazione di un branco nemico, la pratica anche esteriore di segnali distintivi, la volontà di potenza del gruppo, la scelta di un capo cui delegare tutti i poteri di decisione. Il branco è un prodotto della modernità e al tempo stesso è lo sbocco più arcaico che mai si potesse immaginare.
 
Esso contiene una socialità negativa e distruttiva, si basa sull'ideologia del più forte e su valori elementari di violenza, gregarismo, feticismo. Gli "ultrà" delle curve sud ne sono l'esemplificazione più frequente e più primitiva.

L'affievolimento e poi la scomparsa della figura paterna hanno molte cause.

Le più evidenti sono di natura economica, ma non sono le sole e neppure le più essenziali.
Alla base di questa vera e propria rivoluzione istituzionale c'è da un lato l'emancipazione della donna, dall'altro la perdita della trascendenza, due elementi fondanti della modernità e della laicizzazione. Da questo punto di vista la scomparsa del padre sarebbe un fatto positivo e non reversibile, almeno nelle sue forme arcaiche basate sul comando e sull'autorità esercitata per diritto divino.

Ma una società non può vivere senza modelli che le consentano di rispecchiarsi e di conservare memoria di sé.
Il disagio che ha pervaso la società occidentale deriva appunto dall'assenza di rispecchiamento e di memoria. La stessa decadenza delle classi dirigenti ha la sua causa nel deperimento dei modelli paterni. Non a caso venivano chiamati "padri fondatori" coloro che stabilivano le regole della convivenza sociale e politica.

Venuti meno quei modelli la società ha perso la capacità di darsi regole condivise; si parla di continuo della loro necessità, ma nessuno è più in grado di produrle poiché a nessuno viene riconosciuta un'autorità fondativa che superi gli interessi settoriali e s'imponga in nome dell'interesse generale.

Una società senza padri è dunque destinata a una continua e progressiva parcellizzazione che ne paralizza il funzionamento e rende impossibile la produzione di regole democraticamente accettate.

Gli individui non sono in grado di uscire da questa disagiata condizione che, esaltando gli interessi settoriali e gli egoismi di gruppo, si allontana sempre di più dalla auctoritas produttrice di norme generali. Il malessere cresce ed è comunemente avvertito sicché, proprio nella fase in cui la figura paterna ha ceduto il campo, risorge il bisogno di recuperare almeno alcune delle funzioni ad essa affidate; anzitutto quella di indicare le regole basilari del comportamento, di amministrare la giustizia sulla base di quelle regole, di praticare la caritas e la pietas, due attributi tipici della figura paterna e dell'autorità fondativa.

Ma soprattutto la nostalgia del padre è motivata dal bisogno di sicurezza psicologica che egli diffonde. Senza di lui il mondo diventa insicuro per i figli orfani e non preparati a surrogarlo. Questa è diventata infatti la nostra società malgrado le sue mirabili acquisizioni tecnologiche che anzi per tanti aspetti esaltano paura e tristezza: un luogo insicuro, labile, inutilmente motorio, privo di credenze ma ingombro di superstizioni.

Ovviamente non si nasce padri, lo si diventa col vivere e attraverso il vivere. Lo si diventa quando si riesce a comprendere l'Altro superando le ristrettezze nelle quali l'Io inevitabilmente ci racchiude.

I figli sono fisiologicamente i portatori dell'Io; i padri, quelli veri, superano quella costruzione difensiva e vivono per i figli costruendo le condizioni del loro futuro. È superfluo avvertire che in un tempo come il nostro, che ha vissuto nell'emancipazione della donna la sua più grande rivoluzione, la funzione paternale non è legata al sesso.

Ci sono state e sempre più ci saranno donne in grado come e più degli uomini di darsi carico dell'altrui.
In realtà la donna si è sempre data carico dell'altrui, molto più dell'uomo, ma questo avveniva nella sfera del privato. Proprio per il fatto di essere stata confinata in quella sfera da una società governata dagli uomini, il darsi carico da parte della donna difficilmente poteva uscire dall'ambito familiare. Le capacità affettive della donna costituiscono una delle risorse essenziali della carità volontaria che sta diventando uno dei fenomeni più rilevanti e più positivi della società moderna e del moderno umanesimo. Ecco perché la auctoritas paterna, con il suo corredo di giustizia, comprensione, regole condivise, carità e pietas non sarà appannaggio soltanto maschile in un mondo dove i limiti del sesso sono stati infine dissolti in una più ampia concezione della humanitas.

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Il nostro Parlamento dovrà eleggere tra poco un nuovo presidente della Repubblica, la persona cioè che ha il compito di rappresentare la nazione.

Nessuno ignora quanto questa carica sia ambita per i poteri che contiene e per l'immagine che conferisce. E nessuno ignora che attorno ad essa si accenderanno contrasti e vivaci ambizioni. Il Parlamento tuttavia tenga presente che il presidente di una Repubblica dev'essere soprattutto e preliminarmente un pater patriae. Si potrà discutere se debba provenire dalla sinistra o dalla destra, dalla cultura cattolica o da quella laica e se debba essere uomo o donna. Ma su un punto non si deve  -  non si dovrebbe  -  discutere: il Presidente deve incarnare quella figura paterna che rassicuri la comunità e la indirizzi a superare gli egoismi del presente in nome dell'altruismo del futuro. Il laico Benedetto Croce invocò, all'inizio dei lavori della Costituente, il "Veni Creator Spiritus". Quella stessa invocazione sia tenuta a mente dai nostri parlamentari quando sceglieranno la persona che dovrà rappresentare e traghettare il Paese nel suo difficoltoso procedere nel nuovo secolo.

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Il testo che avete fin qui letto non l'ho scritto ieri ma quindici anni fa, esattamente il 28 dicembre 1998 su questo giornale. Ho deciso di ripubblicarlo perché mi sembra che descriva l'attualità che stiamo vivendo in modo che meglio non avrei saputo fare.

Era allora presidente del Consiglio Massimo D'Alema e stava per scadere il mandato di Oscar Luigi Scalfaro da presidente della Repubblica. Nel maggio del 1999 fu eletto Carlo Azeglio Ciampi e nel maggio del 2006 Giorgio Napolitano, entrambi per nostra fortuna dotati di quel requisito di civica paternalità che sono auspicati nel testo che precede. Mi auguro che anche la scelta ormai prossima del nuovo inquilino del Quirinale abbia analoghe caratteristiche anche se non mi sembra un compito facile.

Prima che questa scelta abbia luogo dev'essere però formato un nuovo governo dotato di una nuova maggioranza. A tal fine il presidente Napolitano ha conferito venerdì un pre-incarico a Pierluigi Bersani. L'impresa sembra impossibile, ma non è così. È certamente difficilissima ma non impossibile.

Il percorso che Bersani dovrà seguire, concordato con Napolitano, si svolgerà su due piani. Il primo riguarda il programma di governo basato sugli otto punti già resi pubblici dall'incaricato; riguardano il taglio dei costi della politica, la diminuzione del numero dei parlamentari, la semplificazione degli apparati del Parlamento e soprattutto i provvedimenti necessari per la crescita economica, fermi restando gli impegni presi con l'Europa.
Il secondo riguarda le riforme istituzionali e costituzionali che, per la loro stessa natura, richiedono maggioranze più larghe.

Gli interlocutori di Bersani per realizzare la prima tappa del suo faticoso percorso sono il movimento montiano di Scelta civica ed anche  -  per alcuni specifici punti  -  il MoVimento 5 Stelle. Le modifiche istituzionali e costituzionali includono anche il Pdl e la Lega e comprendono al primo posto una nuova legge elettorale.
Vedremo entro mercoledì prossimo l'esito di questo complesso negoziato. Se sarà negativo, l'iniziativa tornerà al Quirinale che procederà ad un nuovo tentativo per la formazione d'un governo non più guidato da un uomo politico.

L'obiettivo comunque è quello di evitare elezioni a breve scadenza che sarebbero letali per la nostra economia e la nostra credibilità internazionale. Ma le cause di quanto sta avvenendo sono assai più profonde della crisi politica e perfino di quella economica. Hanno carattere sistemico ed è proprio questa la ragione che rende attuale quell'articolo di quindici anni fa che mi sono permesso di riproporre alla vostra attenzione. 
 

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