“A partire dal mondo classico, la Pedagogia
si ispira all’antico ideale della paideia,
che si riferisce all’autorità del modello, alla “forma” da assumere.
Secondo l’educazione classica il maestro o
l’ “educatore” diventa il rappresentante dei modelli educativi: si arriva,
cioè, ad essere se stessi, a pensare e a giudicare autonomamente proprio
imitando “modelli”.
Del resto il significato etimologico del
termine “pedagogia” deriva dal “pais”
(bambino) e da “agon”
(guidare), ecco perché la pedagogia, sin dai tempi antichi, stava ad indicare
la “guida” del fanciullo e cioè l’educazione.”
Prof.
Domenico Milito dell’Università degli Studi della Basilicata
Niente da eccepire in questa definizione ma...
Spero
non me ne vogliano i miei insegnanti di Pedagogia dell’Università, tra l’altro
bravi e appassionati, ma per me la Pedagogia è sempre rimasta un qualcosa di
oscuro e misterioso. Ora non voglio semplificare troppo il problema, non
sarebbe ne giusto ne intellettualmente onesto, ma voglio comunque tentare una
sintesi personale. La prima cosa da fare è differenziare le varie Pedagogie (da
notare che Pedagogia, lo scrivo sempre con la P maiuscola): storia della
Pedagogia, Pedagogia Generale, Pedagogia Interculturale, Pedagogia Speciale,
Pedagogia Sperimentale e fin qui nessuna novità, al più la sensazione, almeno per quanto mi riguarda, è la
percezione di un dilaniamento della materia in mille rivoli, ma sembra che
questo sia il metodo razionale occidentale per spiegare le cose. Per me, già
sono state spese troppe parole. Allora per fare un ulteriore sintesi ecco i
miei due punti salienti.
1)
La Pedagogia non ha una definizione
univoca
2)
La Pedagogia si nutre di altre
materie(filosofia, psicologia etc.), non è una materia a se.
Ma,
a questo punto la vera domanda è, non che cos’è la Pedagogia che in fondo in
fondo dice tutto e il contrario di tutto ma come si applica la Pedagogia. La
mia risposta è che non credo che ci sia un metodo razionale, o meglio, solo un
metodo razionale, ma venga coinvolta anche la sfera emotiva, storica e culturale
del singolo insegnante, genitore ecc. Quindi, ognuno avrà il suo metodo [la libertà di insegnamento (art. 33,
comma 1 Cost.)].
Conclusione
(temporanea). Forse abbiamo già tutti gli strumenti, dagli articoli della
Costituzione alla nostra esperienza personale nell’insegnamento, non bisogna
aggiungere altre definizioni o fare chissà quali ricerche sotterranee, basta
riscoprire ciò che già abbiamo a portata
di mano. È ovvio, come ho già detto che il discorso sarebbe molto più complesso, ma per il momento
questo è il mio “spunto” di riflessione.
Leggi anche "Educazione Ambientale: dimensione pedagogica e dimensione didattica": http://www.crati.it/por_calabria/dispense/Dispense/Iaquinta%20-%20dimensione%20pedagogica%20e%20dimensione%20didattica.pdf
Leggi anche "Educazione Ambientale: dimensione pedagogica e dimensione didattica": http://www.crati.it/por_calabria/dispense/Dispense/Iaquinta%20-%20dimensione%20pedagogica%20e%20dimensione%20didattica.pdf
…e a
proposito di "antitesi" tra teoria e pratica, ho trovato questo “pezzo” sulla
rivista digitale Linkiesta, anche questo mi sembra un’altro spunto di riflessione interessante:
Discorso
sugli intellettuali (del piffero o meno)
Botta e risposta sul nuovo libro di Mastrantonio,
"Intellettuali del piffero" e la critica facile
L'articolo
che segue è in forma di dialogo tra Francesco Longo (FL) e Christian
Raimo (CR).
FL: Visto
che vieni citato (e criticato) più di una volta nel libro di Luca Mastrantonio
sugli intellettuali (Intellettuali del piffero, Marsilio), mi sembra
interessante confrontarsi con te. Devo fare però una premessa. Non credo che
per te comparire in un libro sugli intellettuali sia in sé una cosa negativa
(per me lo sarebbe). Anche dopo aver letto il libro, infatti, il mio
pregiudizio rimane inalterato. Considero gli intellettuali una galassia di
persone che stanno in una zona grigia tra i Grandi Scrittori e i Politici Senza
Abbastanza Carisma (o comunque senza competenze per fare i politici). Per
Mastrantonio oggi gli intellettuali combattono battaglie per avere un posto al
sole. Li descrive come santoni che incantano per portarsi a casa un po’ di
autorevolezza e potere. Per tutto il libro non fa che mostrarne l’ipocrisia, la
doppia morale, la meschinità. Mi pare che la parola che ritorna di più nel
libro sia “schizofrenia”. La vecchia guardia è composta da vegliardi
incendiari (le «vecchie trombette»), mentre i più giovani si sentono incaricati
di essere seriosi («giovani tromboni»). Predicano tutti qualcosa che non
mettono in pratica. Per questo, il ronzio del chiacchiericcio – polemiche,
slogan, sparate – forma un assordante vuoto. Mi pare che i maggiori bersagli
siano Eco («qualcuno ricorda sue dure prese di posizione contro il partito a
lui vicino?»), Asor Rosa, la Tamaro, Camilleri, Saviano e tutti quelli che
«possono fare gli apocalittici, nei toni, ma sono ben integrati». Quando si
rifà al più emblematico e inarrivabile degli intellettuali, Pasolini, non ho
potuto non ripensare al fatto che non abbia mai scritto un Grande Romanzo. Mi
ha sorpreso ritrovarmi ad essere d’accordo con uno scrittore che neanche amo, Moravia,
che qui viene citato quando ragionò sulla parola “intellettuale”: «si è
deteriorata col tempo, si è caricata di significati negativi che prima non
aveva: oggi è quasi un insulto e non c’è persona che sentendosela affibbiare
non provi l’impulso di protestare».
Link originale completo:
http://www.linkiesta.it/intellettuali-del-piffero
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