da Il
giornale dell’Università degli studi di Padova
Stipendi
degli insegnanti: il gioco delle tre carte
Nel
rapporto La Buona Scuola. Facciamo crescere il Paese, pubblicato pochi giorni
fa dalla Presidenza del consiglio dei ministri e dal Ministero dell’istruzione,
dell’università e della ricerca, uno speciale interesse per i docenti riveste
il secondo capitolo, dal titolo Le nuove opportunità per tutti i docenti:
formazione e carriera nella buona scuola; e in particolare il paragrafo 2.3,
Premiare l’impegno: come cambia la carriera dei docenti.
Ormai
da molti anni gli insegnanti della scuola pubblica sono privati del rinnovo
contrattuale; sono sottoposti con tutti i dipendenti statali al perdurante (ne
è stata annunciata l’ulteriore proroga fino a tutto il 2015) blocco degli
stipendi, per i quali non viene neppure riconosciuto il recupero
dell’inflazione; sono titolari di retribuzioni tra le più basse d’Europa per la
categoria, talmente esigue che tutti gli ultimi ministri dell’istruzione
(compresa l’attuale) hanno, all’inizio del loro incarico, biasimato
pubblicamente questa situazione. È dunque comprensibile che le aspettative dei
docenti su questo tema, già molto vive, siano state ulteriormente stimolate
dalle frequenti dichiarazioni del Presidente del Consiglio, che ha più volte
enfatizzato la centralità della professione docente per lo sviluppo della
nazione e l’opportunità di un suo maggiore riconoscimento. Lo stesso rapporto
La Buona Scuola è tutt’altro che privo di enfasi: bisogna rivendicare il
“coraggio di ripensare come motivare e rendere orgogliosi” gli insegnanti; essi
hanno “alta responsabilità professionale e civile” (p. 6) e ciascuno di loro
determina “il futuro di centinaia di ragazzipiù di quanto possa farlo un membro
del Governo o l’amministratore delegato di una società”; occorre “puntare
suquel merito che serve per ridare dignità e fiducia” (p. 44); bisogna
“considerarli finalmente come persone e come professionisti”(p. 48) – tutto ciò
in coerenza con un piano generale di riforma che si proclama senza precedenti
per attenzione politica e culturale alla scuola e per impegno economico:
“Questo
Governo non ha esitazioni: la scuola è la priorità del Paese, e su di essa
intendiamo mobilitare le risorse che servono” (p. 118)
Ma
l’argomento non riguarda solo i diretti interessati, al contrario risulta
fondamentale rispetto al tema della “buona scuola”: perché è evidente – a meno
di impostare il discorso in termini non professionali, ma volontaristici e
missionari – che la condizione contrattuale e il trattamento economico di una
categoria di lavoratori non possono non incidere sia sulla qualità del servizio
da loro prestato (soddisfazione e motivazione dei docenti nei confronti del
proprio lavoro, attualmente in crisi; possibilità concreta, oggi seriamente
compromessa, di usufruire nel quotidiano di quelle autonome esperienze
culturali che costituiscono l’autentica formazione di un docente), sia sulla
composizione stessa della categoria (capacità di attrazione della professione
docente per i migliori giovani e gli studenti più brillanti: oggi quasi a
zero). Non è interesse di nessuno, si direbbe, che i docenti della scuola
pubblica continuino a scivolare in una condizione di ristrettezza e di
avvilimento.
Era
dunque auspicabile che le proposte del Rapporto su questo tema delicato fossero
significativamente migliorative rispetto alla situazione attuale, tanto
negativa; ed era doveroso che lo si affrontasse con onestà e lo si esponesse
con correttezza, in modo che sia i diretti interessati sia l’opinione pubblica
potessero, come si legge, partecipare a un “dibattito e confronto … nel quadro
di quella che vogliamo diventi la più grande consultazione – trasparente,
pubblica, diffusa, online e offline – che l’Italia abbia mai conosciuto
finora”.
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